Hi anna e akka!
Fratello e sorella sono le parole che accompagnano il tuo
nome ogni volta che i bambini indiani rientrano da scuola e con il loro sorriso
infinito ti fanno sentire parte della loro vita. Così voglio salutarvi dopo
tanto tempo che non incrociamo i nostri sguardi!
Sono partita per l’India il primo novembre con delle idee in
testa, cercando di immaginare cosa mi avrebbe accolto. Leggi tanto sui libri a
proposito della cultura indiana, delle tradizioni, della religione ma mai nulla
sarà all’altezza di quello che i tuoi occhi vedranno.
Il mio tirocinio è nato dalla voglia di capire com’è la
vita, ma soprattutto il futuro di un bambino/ragazzo che vive e cresce in una
casa famiglia. Come il territorio includa o escluda la sua presenza nella
società per il semplice fatto di essersi formato come adulto in un contesto
differente da quello che noi intendiamo di famiglia, con una madre e/o un
padre.
Dopo un periodo di formazione con le associazioni che mi
hanno ospitato, ho pensato di strutturare la mia permanenza in due periodi
differenti: un mese ad Hyderabad (Andrha Pradesh) in una casa famiglia che ospita
bambini dai 5 ai 23 anni a i restanti due a Pondicherry (Tamil nadu) in una
casa famiglia per bambine.
Hyderabad mi ha accolta con i suoi edifici altissimi, smog e
caos. La città ha origini islamiche e spesso ad oggi la convivenza religiosa
risulta difficile, a partire dai frequenti scontri che avvengono nella parte
vecchia della città, tra hindu e mussulmani.
E’ una tra le metropoli indiane maggiormente sviluppate
grazie alla tecnologia che si estende in zone, quartiere paralleli. Altri
mondi. A distanza di pochi chilometri dalle strade polverose che percorri tutti
i giorni, cercando di schivare mucche, cumuli di rifiuti e senza farti
travolgere da risciò o autobus, emergono grattacieli infiniti che sfiorano le
nuvole in zone lussuose e luccicanti. Un’altra India, quella a cui tutti i
giovani aspirano, “l’High-tech city”.
Spero di essere stata chiara nel farvi capire che la parola
che spesso riassume una vita indiana è la contraddizione. Una contraddizione
che si rispecchia anche negli atteggiamenti quotidiani e nel modo in cui, per
esempio, viene guardata una donna. Posso dirvi con certezza dopo averlo provato
che non è semplice essere una straniera non sposata, qua le donne sono
accompagnate sempre da qualche uomo della famiglia e per certi aspetti la loro
vita dipende da loro, non hanno un’individualità. Sono nate donne e per questo
il loro ruolo è ben definito sin da quando sono bambine, devono solo sperare di
essere fortunate nel momento in cui la famiglia sceglierà il loro futuro marito
e di conseguenza la nuova famiglia che le accoglierà. I matrimoni combinati non
sono una leggenda di altri tempi così come la dote, i rituali che lo
accompagnano e le giornate infinite di festeggiamenti!
Dopo aver imparato a leggere certi atteggiamenti impari a
rendere tutto relativo, perché l’India sta veramente crescendo, emergendo e le
nuove generazioni, quelle che hanno la possibilità di proseguire gli studi e vivono
la “Hyderabad bene” sono lanciate verso nuovi modelli e le famiglie a loro
volta stanno facendo un cambio di rotta, allontanandosi da certi legami con il
passato.
Questo è stato il contesto culturale che mi ha accolto e a
tratti non di facile comprensione. A rendere tutto molto più semplice ci hanno
pensato i ragazzi della casa famiglia. La situazione all’interno di quelle mura
era totalmente diversa, un abbraccio caldo e famigliare quando ti sentivi perso
nel caos dello sviluppo. Occhi caldi e profondamente neri, curiosi e con tanta
voglia di conoscerti. Bhavitha Home (il nome che è stato dato alla casa) è un
piccolo angolo di paradiso tra i tanti ostelli che esistono in questa città. I
ragazzi hanno la loro indipendenza, libertà di espressione non a caso è una
vera casa di talenti tra danza, canto, pittura e cricket (sport nazionale,
dalle regole impossibili!).
Ogni mattina mi alzavo per fare colazione con loro e
salutarli prima che andassero a scuola, poi la giornata la passavo con la
presidentessa italiana dell’associazione che mi ha accompagnato per un periodo.
Le mie attività di supporto erano già iniziate in Italia grazie ad un buon
lavoro incentrato su quale sarebbe stata la mia figura per l’organizzazione.
Con il senno di poi si è rivelato indispensabile per sentirsi partecipe fino in
fondo nella missione che si è data l’associazione quando ha deciso di nascere e
per poter contribuire con proprie idee. Alle varie attività di fund-raising e
ricerca contatti per la creazione di una rete più ampia, ho intervallato la mia
ricerca. Ho deciso di raccogliere i racconti di vita dei ragazzi per avere
anche la loro percezione e parere sulla relazione che si instaura con il
territorio. Un’ esperienza travolgente. Li ascolti guardandogli negli occhi e
ti rendi conto che hai tante cose da imparare dalla vita ma ancora di più da
loro, puoi solo restare in silenzio ad ascoltare e osservare il loro viso
mentre ti rendono partecipe di un passato a volte troppo difficile per un
bambino.
Il primo mese ad Hyderabad è volato in un batter d’occhio
alla presa con emozioni contrastanti, con alti e bassi che spesso non riesci a
spiegare.
A Pondicherry, verdissima città del Tamil Nadu, è iniziata
la mia seconda parte di tirocinio formativo.
Ex colonia francese è ora meta di “freakketoni” da tutto il
mondo alla ricerca di non si sa ben cosa. Arrivare qua è stato come cambiare
continente, passeggiare per la via principale che si affaccia sul Golfo del
Bengala accompagnati dal solo suono delle onde che s’infrangono dava l’impressione
di non essere in India.
Da qua è nata la conferma che esistono tante “indie” una
profondamente diversa dall’altra.
Ben presto ho lasciato la “comoda vita” della città per
trasferirmi nel villaggio, a Thavalakuppam a 15 km da Pondicherry.
Qua, a differenza di Hyderabad, sono circondata da un verde
incontrastato, la natura esplode e vince sull’uomo. Alberi di cocco, distese di
risaie e scoiattoli che saltano da un albero all’altro, piccoli templi
coloratissimi che emergono dal nulla. Un senso di serenità per la vista e
l’udito.
In questo villaggio si trova la seconda struttura che mi sta
ospitando; “Kirubalaya”. Si tratta di una casa famiglia gestita da una suora
che si prende cura di bambine orfane e/o di strada dai 5 ai 18 anni.
Il contesto culturale che mi ha accolto è stato molto
diverso anche per la forte presenza di turisti che a mio parere ha tolto a
questa città un qualcosa. Qui lo spazio che mi circonda è decisamente a misura
d’uomo; non ti perdi tra il caos e lo smog.
Nonostante la splendida cornice, le cose sono state più
complesse a causa di una poca chiara comunicazione tra l’associazione italiana
e quella indiana. Il mio ruolo in loco è stato completamente diverso da quello
pre-annunciato e anche la parte della ricerca non è stata semplice. Ho dovuto
re-inventare le mie giornate, le mie interviste. Non è stato semplice ma
insieme alla mia compagna d’esperienza Bayush ci abbiamo provato!
Qua ho avuto modo di conoscere sistemi educativi che vengono
dati ai bambini e che per essere raccontati avrebbero bisogno di una
riflessione a parte. Assistere a certe situazioni è stata dura.
I bambini appena vedono alzare una mano verso l’alto pensano
che stai per picchiarli mentre tu in realtà vuoi giocare o scompigliarli i
capelli. Vedi il loro volto come al rallentatore che si corruga e si spaventa e
senti un tuffo al cuore, un boato dentro.
Ripenso ai quei momenti ed ho i brividi; penso a quello che
diceva Freire e alla facilità con cui da oppressi potranno e in alcuni casi già
lo sono, diventare oppressori.
In questa esperienza ho visto la differenza che esiste nelle
relazioni che puoi avere con i bambini e quella con le bambine. In questo
secondo caso è molto più fisica, ti cercano la mano, ti accarezzano e tu puoi
sentirti libera di fare altrettanto. C’è più attenzione nel prendersi cura di
una bambina, e questo è dettata principalmente dal sistema culturale.
Sono estremamente controllate, soprattutto nelle loro
amicizie. E’ una questione di reputazione necessaria per avere un buon
matrimonio.
Tra pochi giorni lascerò Pondicherry per tornare ad
Hyderabad.
Faccio il bilancio di queste due diverse esperienze e mi
rendo conto che, come mi ha insegnato un indiano, la vita è fatta di 50 e 50:
lascio una natura meravigliosa per tornare nel caos della città ma abbracciare
(con lo sguardo) i miei fratelli indiani!
Questa esperienza quasi conclusa mi ha fatto conoscere una
cultura, un mondo “altro”, infinito, che sento di voler conoscere sempre di
più. A tratti mi sono trovata in una grande Italia del secondo dopo guerra, con
un boom economico in atto e la voglia di cambiamento negli occhi che spesso si
trova in contrasto con le proprie radici.
Tante cose ci sarebbero da raccontare ma aspetto di vedervi
di persona.
Un abbraccio da una delle tante indie …
Nessun commento:
Posta un commento