Un servizio nato da un bisogno condiviso da studenti e docenti, direttamente o indirettamente interessati, che hanno sentito forte l’esigenza di raccogliere e socializzare le sempre più numerose esperienze vissute all’estero, in quanto risorsa per offrire un appoggio a quanti interessati a loro volta a partire. A seguito di un vivo scambio di idee, opinioni, riflessioni su esperienze pratiche e sogni, il programma è stato implementato a partire da gennaio 2005.

martedì 18 giugno 2013

Giulia Ciaghi - Report. Comunità indigena Lopez Hernandez, Venustiano Carranza, Chiapas, Messico.


24/8/2012

La vita della comunità inizia prima di quella del sole, quando ancora la luna si sta congedando dagli uccelli notturni che l'hanno accompagnata nel suo percorso.
Inizia con il profumo di caffè e l'odore delle braci scoppiettanti che lo riscaldano, con il canto del gallo che ogni mattina annuncia il giorno che arriva: un altro giorno di lavoro nel campo per gli uomini e in casa per le donne.
Ed è proprio sul canto del gallo che si basa l'ora locale. Perché spostare l'orologio avanti di un'ora se la loro sveglia naturale canta sempre alla stessa ora, che sia stagione secca o stagione delle piogge? Succede quindi che facendo qualche chilometro in macchina per spostarsi dalla comunità alla cittadina più vicina ci si stia muovendo oltre che nello spazio, anche nel tempo.


La concezione temporale cambia anche per il tipo di relazioni che si instaurano e per come tutto ciò che succede fluisce lentamente, seguendo i ritmi naturali che ti circondano..I bambini che giocano intorno agli alberi da frutta e gli alberi da frutta che aspettano i bambini, i tacchini che cercano del cibo intorno alla casa del proprio padrone, il contadino che semina a mano, passo dopo passo, i chicchi di mais per la raccolta che verrà, le donne che al fiume lavano i vestiti a mano e che in cucina preparano la tortilla per tutta la famiglia ...ogni azione segue un ritmo che si ripete, quasi costantemente, giorno dopo giorno.
La divisione dei compiti è definita da una forte concezione di genere: l'uomo è il sesso forte, quello che con in mano il machete può lavorare il campo tutta la mattina per coltivare il mais per la famiglia e per venderlo in modo da creare reddito; la donna è il sesso debole, e per questo deve rimanere a casa per fare i lavori casalinghi e badare ai bambini.
Una mentalità abbastanza maschilista che spesso, per molti dei suoi elementi, non si rende conto di quanto sia duro essere una donna qui, poiché il giorno di riposo non esiste. La casa non si ordina da sola, i vestiti non si lavano a mano da soli, la colazione, il pranzo e la cena non si preparano da soli. Mentre il mais, una volta piantato, cresce secondo il suo ritmo e i suoi tempi, richiedendo meno cura giornaliera che non un focolare domestico.
Pensavo che arrivare qui come giovane, bianca e donna potesse essere un motivo di diffidenza da parte delle persone del luogo.. al contrario, ho poi scoperto che non è difficile farsi accettare dalla gente, tutto il contrario: le donne non aspettano un secondo per offrirti una sedia e un pasto caldo alla loro tavola; con i bambini e le bambine basta un'ora di gioco assieme per diventare migliori amici; mentre molti uomini pensano che conoscere gente straniera e far sì che queste persone portino la voce contadina nei paesi da cui provengono sia solo un bene, perché se nessuno li ascolta in patria, forse potranno farsi ascoltare da qualche bianco dall'altra parte dell'oceano che capirà la forza della loro lotta.
Gli uomini che fanno parte della OCEZ (Organizzazione Contadina Emiliano Zapata) parlano con una carica invincibile nello sguardo e nelle parole: parlano di lotta, di sacrifici necessari, della necessità di mantenersi organizzati e addirittura di morti (martiri) per la causa della terra.

Perché se sai che ai tuoi bisnonni indigeni tzotzil venne rubata la terra che coltivavano da generazioni da parte di pochi proprietari terrieri, e per questo ti sei trovato a passare buona parte della tua vita a lavorare la terra dei bisnipoti degli stessi ladroni sfruttato per qualche soldo, allora l'avere un pezzo di terra proprio non diventa solo una necessità di sopravvivenza dignitosa, ma è una rivendicazione storica di giustizia.



La comunità si chiama Lopez Hernandez in memoria dei due cognomi dei “compagni” morti nel 2009 in un attentato del governo. È una comunità che ha dovuto aspettare 10 anni, due morti e un invalido prima che il governo gli riconoscesse il diritto di vivere sulle terre che avevano occupato. I 215 ettari prima coltivati a canna da zucchero per l'esportazione che erano in mano di una sola famiglia, ora sono campi di mais ,fagioli e zucchine, prati per pascolo e apicoltura, riserva per la biodiversità e villaggio comunitario per 94 famiglie.
Ma l'aver conquistato questa terra non significa vivere in pace:  nel 2009, dopo avergli concesso simbolicamente la proprietà delle terre, il governo tornò sui suoi passi in borghese per arrestare i leader dell'organizzazione senza alcun motivo valido, provocando allo stesso tempo l'incidente in cui morirono 2 persone e una rimase invalida.  Tutt'oggi la comunità si trova a vivere sotto stato d'allerta per la paura di altre repressioni, vista la vicinanza di appostamenti dell'esercito e persone sconosciute che vogliono infiltrarsi.
Non c'è pace per il contadino che recupera le sue terre se lo stato è il suo peggiore nemico. Poiché lo stato possiede mezzi di comunicazione, propaganda elettorale, esercito, polizia e amicizie con potenti proprietari terrieri, mentre il contadino non ha altro che la sua voce e la possibilità di fare scioperi della fame, manifestazioni e occupazioni delle terre, però sempre con le mani libere da armi.
Dicono che sono dimenticati dal loro stesso stato che và avanti senza preoccuparsi per loro perché cittadini di serie Z, come il comandante di una barca che appesantita dalla troppa carica lascia cadere i mozzi del proprio equipaggio a mare, lasciando però a bordo le casse di alcoolici per festeggiare l'arrivo a terra.
Dimenticati perché scomodi, credo io.
Colpevoli di lottare per i propri diritti e per la propria dignità, vengono lasciati senza scuole, senza case degne di questo nome, senza acqua potabile nè servizi di qualunque tipo.

La loro forza sta nel non passare la giornata lamentandosi, ma rimboccandosi le mani per cambiare la realtà in cui vivono, per il bene delle loro famiglie, per quello dell'organizzazione e delle altre comunità che ne fanno parte.
Per questo esistono le assemblee: quella della cooperativa, quella della organizzazione, quella della comunità...spazi di dialogo dove ognuno ha voce in capitolo e può opinare ciò che pensa sia meglio per la vita della comunità, sempre che abbia voglia di partecipare a lunghe discussioni che possono protrarsi per tutto il giorno. Si discute a livello orizzontale, perché ogni “compagno” e “compagna” ha il diritto di dire la sua. In questo modo vengono decise le cariche di responsabilità e allo stesso modo è stato deciso il regolamento interno della comunità (che vieta la vendita di alcolici al suo interno, che proibisce l'intromettersi nelle coppie e che riserva alcuni spazi a zone di protezione della biodiversità).

Don Chema, o il “vecchietto” come lo chiamano loro, è il leader morale dell'organizzazione che da 30 anni lotta per la causa del recupero delle terre anche se sfrattato, minacciato di morte, arrestato 4 volte e liberato come prigioniero politico grazie a pressioni internazionali.
Discutendo con lui sotto l'ombra di un albero in un pomeriggio soleggiato mi dice che nonostante a livello organizzativo siano molto efficienti, c'è ancora molta strada da fare sul piano della coscientizzazione: sradicare il maschilismo, l'abitudine a sporcare di immondizia il proprio spazio vitale, la tendenza a coltivare mais transgenico perché rende di più anche se è dannoso per la salute, la mentalità individualista e materialista di fronte a quella più cooperativista e solida..c'è ancora molto da fare prima di poter dire di essere arrivati alla società giusta e libera che tutti vorremmo.
Lui è una di quelle persone che si può essere orgogliosi di conoscere per il carisma e l'umiltà che trasuda: discorsi politici dello spessore di Marx anche se privo di alcun tipo di istruzione, conoscenza delle piante e del suo ambiente come un grande sciamano, vestito di stracci come un barbone e con uno scorcio lungo il viso che ricorda il pescatore di De André.
Lui, insieme a Francisco, Carmelo, Fernando, Josè i miei grandi maestri di qui. Persone esperte di vita e sofferenze, che non hanno intenzione di abbandonare la causa, perché finché esistono persone che non hanno accesso alla terra, ci sarà bisogno di lottare e resistere per far si che le cose cambino.
“Non bisogna avere paura delle repressioni! – dice Josè, che a 30 anni si trova in sedie a rotelle per colpa dell'attentato del governo – e quando queste arrivano, bisogna continuare a lottare! Perché finché siamo vivi, c'è una speranza di cambiamento!”.


Io sto passando con loro questi mesi, cercando di capire qual'è il ruolo della cooperante, cercando di mettere in piedi piccoli progetti che possano portare alla conoscenza reciproca e, soprattutto, imparando a lavorare in gruppo, a contatto con la diversità, in condizioni che nel nostro ricco occidente sarebbero "poco favorevoli" e che qui sono la norma.
Continuo a passare queste giornate cercando di imparare dalla loro forza e saggezza, condividendo esperienze e pensieri, lavorando con loro per dargli quello che ho da offrirgli, giocando con le mie piccole amiche e respirando quest'aria che anche se povera ed umile, ha un profumo bellissimo che sa di dignità.

Giulia

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